Categoria: Progetti

Il Commissario Bertone

Progetto serie tv di Fabio Bussotti e Stefano Gabrini

ispirato ai romanzi di Fabio Bussotti.

Nell’ottobre del 2008 esce nelle librerie italiane L’invidia di Velázquez (Sironi editore), spy story tradotta anche in Russia e Spagna e che vede come protagonista Flavio Bertone, commissario capo dell’Esquilino. Nel marzo del 2012 il commissario torna nelle librerie con Il cameriere di Borges (Perdisa Pop). Nel 2014 L’invidia di Velázquez esce in Spagna per Algaida Editores. Il 2015 è l’anno di Le lacrime di Borromini (Mincione Edizioni) e con la stessa casa editrice escono Al cuore di Beckett (2016), una nuova edizione de Il cameriere di Borges (2017), El Mayordomo de Borges (2017), San Francesco a Central Park (2018) e L’amico di Keats (2019).

Ecco, brevemente, alcune recensioni:

Finalmente un giallo -o spy story, come è scritto sulla quarta di copertina- che ci dà una mappa esatta, minuziosa di luoghi urbani. Sono personalmente grato a Fabio Bussotti perché il suo L’invidia di Velázquez (Sironi) ricostruisce un’epica dei quartieri romani dove abito e che frequento … (Filippo La Porta su Left).

Bertone sfida allora i suoi superiori. Incoraggiato dai fumi d’un vinello bianco e beverino lascia la pista passionale e affronta quella accademica. Scopre così che Natoli studiava da anni, con passione morbosa, “Las Meninas”. Le sue teorie l’avevano condotto a conclusioni molto pericolose. C’è di mezzo una cripta, nel sottosuolo di Siviglia. Così in Spagna, nel mentre scopre trame occulte, Bertone incontrerà la felicità e i fianchi d’una quarantenne da capogiro. (Antonio De Benedetti sul Corriere della Sera).

Fabio Bussotti ha scritto un romanzo affascinante e labirintico, pieno di burle, di sedicenti commissari, di scambi di persona, di false notizie e false piste, un romanzo che è omaggio a Borges, al tango, a Piazza Vittorio… (Filippo La Porta su Left).

…l’autista e il maggiordomo possono diventare protagonisti: vedi il recente, godibilissimo giallo Il Cameriere di Borges di Fabio Bussotti (Beppe Sebaste sul Venerdì di Repubblica).

Una storia avvincente e avventurosa. Potrebbe essere un film, ricco di azione e umanità. Liliana Cavani

Un noir molto alla francese anche se il punto di partenza della storia è a Roma, quartiere Esquilino. L’autore gestisce con abilità e suspence una trama che si snoda tra l’Italia e l’Argentina e che sfiora personaggi come il Che e, naturalmente, Borges. (Alessandra Rota su La Repubblica).

Aspettatevi pure tutto quello che desiderate da una storia che vi metta a tu per tu con il puro svago, lontano da citazioni, ricercatezze e finezze letterarie. (Isabella Pascucci su Leggo).

Progetto per film e/o serie Tv

Le avventure del commissario Flavio Bertone hanno inizio all’Esquilino, quartiere multietnico della Capitale in cui convivono comunità provenienti da diverse parti del mondo. Anche il delitto, come il quartiere, appare subito complesso, ramificato e con sorprendenti legami con opere d’arte, pittori famosi, poeti, scrittori o grandi architetti. L’intreccio poliziesco si moltiplica, come se lo guardassimo attraverso un caleidoscopio. Flavio Bertone, un cinquantenne molisano di origine contadina, è chiamato a mettere un po’ d’ordine, ben sapendo che ogni scorciatoia nasconde una trappola.

C’è sempre un momento, in ogni avventura, in cui la situazione sembra disperata, irrimediabile. E proprio in quel momento, il commissario trova dentro di sé quella miscela di coraggio e d’incoscienza che gli farà risolvere il mistero.

Ogni avventura nasce all’Esquilino. Ma la soluzione del mistero non è quasi mai dentro le mura del Rione.

Ne L’invidia di Velázquez, Bertone indaga sull’omicidio di un professore d’Estetica. Sembrerebbe un delitto passionale, ma l’ostinato molisano, diffidando delle apparenze, vola a Madrid e scopre che la soluzione del caso è legata all’interpretazione di un famoso quadro di Velázquez, Las Meninas, esposto al museo del Prado.

Ne Il cameriere di Borges, si assiste alla scomparsa di un anziano e mite signore di origine argentina. Il commissario dovrà volare fino a Buenos Aires per scoprire che il mite signore aveva avuto un passato tutt’altro che mite e che non era affatto quello che diceva di essere.

Ne Le lacrime di BorrominiBertone indaga sulla morte di un professore in pensione e di un assicuratore, entrambi trafitti da un ago conficcato nel cervello. Anche per la soluzione di questo caso, Bertone dovrà lasciare l’Esquilino e avventurarsi nei vicoli della Città Vecchia di Gerusalemme.

In Al cuore di Beckett le indagini su un serial killer che uccide i poveri senza tetto nei dintorni di piazza Vittorio, condurranno il commissario a Parigi fra le tombe del cimitero di Montparnasse.

In San Francesco a Central Park, per risolvere un duplice mistero (il suicidio di un vecchio e la scomparsa di un frate), il commissario Flavio Bertone volerà a New York e poi in Connecticut.

Ne L’amico di Keats, il commissario Bertone vola a Londra per scoprire chi ha ucciso un ragazzo di diciassette anni, appassionato di Keats e colpevole di aver filmato un covo di narcotrafficanti.

Il commissario Flavio Bertone

Alla questura di Roma non si fa altro che parlare di come sia stato mollato dalla moglie che – dicono – ha perso la testa per un avvocato di Catania. I colleghi spettegolano, non comprendendo la sua apparente rassegnazione, la sua composta malinconia. Ormai, Flavio Bertone vive da solo, con i suoi sensi di colpa e le sue bottiglie di rum scadente. A ribaltargli la vita ci pensa Mafalda Moraes, una focosa professoressa di storia dell’Arte. Flavio e Mafalda s’incontrano a Madrid. Iniziano una relazione frastagliata: fiammeggianti notti d’amore e bruschi addii. E mentre assistiamo al ritorno dell’ex moglie, desiderosa di rimettere insieme i pezzi di una storia che per lunghi tratti era stata felice, spunta, a sorpresa, Rosa Cianci, infermiera dell’ospedale San Giovanni: una donna tranquilla, rotonda e che non si preoccupa di piacere. Flavio Bertone sente crescere per lei una sincera amicizia destinata a trasformarsi, forse, in amore.

Ma chi è veramente Flavio Bertone?

Cinquantenne, nato in un paesino a pochi chilometri da Teramo, il commissario capo dell’Esquilino ha ereditato dalla sua origine contadina l’umiltà con la quale affronta casi impossibili per i quali non esiste una spiegazione razionale e dove perdersi è la regola. Flavio accetta il gioco. Si perde nella selva oscura dei punti interrogativi, in attesa paziente di scorgere una fiammella che indichi il cammino. I suoi superiori, totalmente privi di pazienza, non comprendono il suo ciondolare intorno al caso, la sua diffidenza verso i risultati della Polizia Scientifica, e la sua ostinazione a soffermarsi su dettagli che i più giudicano irrilevanti. A sbarrargli la strada, poi, ci si mette quasi sempre il questore Alvaro Mostocotto, ex compagno di studi di Flavio Bertone e da sempre segretamente innamorato di Giuliana.

I suoi più fedeli aiutanti, i suoi due scudieri, sono gli ispettori Antonio Pizzo e Ciccio Cacace. Estremamente diversi tra loro, il primo è efficiente, leale e con un naso molto espressivo; il secondo è casinista, bonaccione e dalle idee molto meno lucide del suo cranio. La vice commissaria Paola Borgonovo è spesso stizzosa e poco conciliante. Non approva i metodi di Bertone e lo dice senza mezzi termini. Si capisce benissimo, però, che sotto sotto è innamorata di lui.

Il talento di Flavio Bertone risiede nella sua capacità di mettersi nei guai, nell’amore come nei casi polizieschi. Messo di fronte al pericolo, però, non si tira indietro. È passionale, non fa calcoli. A volte può sembrare infantile, ingenuo. Di sicuro è incosciente quando si lancia contro un nemico troppo forte. Ostinato nel fidarsi del suo intuito, riesce a smascherare il colpevole, pagando, quasi sempre, un prezzo umano troppo alto.

Sinossi dei romanzi

L’invidia di Velázquez

Una scia di omicidi tra Roma e Siviglia. Una spy story in cui l’arte si intreccia all’ambizione, il noto all’ignoto, l’invidia all’amore.

«Alzò la mano incrostata di sangue e terra. Non sperava più che qualcuno giungesse a salvarlo. La mano si era alzata da sola, di sua iniziativa, semplicemente perché la vita ha sempre più risorse della volontà

Nel 1656, il grande pittore Diego De Silva Velázquez dipinge Las Meninas, la sua opera più originale e misteriosa.

A tre secoli di distanza, nel 1956, Pablo Picasso e l’antiquario Aronne Schilton, grazie a una geniale intuizione, vengono a capo di un enigma che l’artista aveva dissimulato all’interno del celebre quadro.

La loro non è una impresa intellettuale né una ricerca da tavolino: infatti i due passano all’azione, mettendo in moto una catena di eventi inaspettata.

Alcuni di questi eventi vengono alla luce cinquant’anni dopo, a Roma, quando il commissario Flavio Bertone comincia a indagare sull’omicidio di un illustre studioso di Estetica, trovato ucciso nel suo appartamento.

Il commissario è uno che non si accontenta delle apparenze: spinto dalla sua ostinazione, indirizza l’indagine verso persone, luoghi e fatti che i suoi poco acuti superiori giudicano, però, non pertinenti.

Seguendo una pista fino in Spagna, Bertone diventa così, suo malgrado, un uomo solo alle prese con un mistero più grande di lui, dietro al quale si nasconde un potere dalla tradizione secolare, ma ormai segreto e dimenticato.

Intorno al commissario stanno amici e nemici, presenti e passati: un’affascinante funzionaria delle Belle Arti spagnole, il fedele ispettore Pizzo, un paio di accademici, lo stesso Velázquez, un inedito Picasso e un arduo Foucault, che parla dalle pagine dei suoi saggi.

Ma gli omicidi continuano – nessun delitto è abbastanza atroce per chi è consumato dal peccato dell’invidia – e non è detto che alla fi ne siano i buoni a vincere…

Il Cameriere di Borges

«La maggior parte delle voci su di me sono false, create da me o dai miei amici della Cia al solo scopo di non farmi trovare. Sarò stato anche un ladro, ma non come dicono i rapporti dei servizi segreti. Sono estraneo ai colpi colossali che mi vengono attribuiti. Però sono stato amico di Che Guevara e di Salvador Allende. Ed è anche vero che per due anni sono stato cameriere di Borges»

Chi è Evaristo Torriani? Perché il suo nome sembra rimbalzare per decenni tra Europa e Sudamerica nei contesti più diversi? Amico di Che Guevara, agente dei servizi segreti, ma anche cameriere personale del grande scrittore Jorge Luis Borges: è possibile che proprio quest’uomo, ormai anziano e con un altro nome, sia il vicino di casa del commissario Flavio Bertone? Fatto sta che è sparito e, poco dopo, sparisce anche la misteriosa busta che il vecchio aveva chiesto al commissario di custodire. Quando poi, viaggiando da Roma a Buenos Aires, Bertone scopre che i servizi segreti stanno ancora cercando Torriani, tutto si complica, perché in quella busta potrebbe esserci un documento molto compromettente: i nomi dei veri genitori degli orfani del regime di Videla. E se invece ci fosse un inedito di Borges?

Finalista al Premio Alziator 2012

Le lacrime di Borromini

Un professore di liceo in pensione e un assicuratore vengono assassinati con un ago conficcato nel cervello. Il commissario vorrebbe occuparsi del duplice omicidio, ma i servizi segreti gli tolgono il caso. Perché? Bertone, ostinato e molisano, decide di non mollare.

Così inizia il thriller che ruota intorno a un segreto custodito all’interno di San Giovanni in Laterano. Bertone, dopo innumerevoli vicissitudini che lo porteranno anche a Betlemme e a Gerusalemme, verrà a capo dei delitti e scoprirà anche cosa nasconde il ciborio a baldacchino della Basilica romana.

Nel 1648, anche il grande architetto Francesco Borromini, disubbidendo a Papa Innocenzo X, era riuscito a dare un’occhiata all’interno del ciborio. Pagò con la vita quell’eccesso di curiosità.

Al cuore di Beckett

In una calda estate romana un serial killer sferra pugnalate al cuore. Le vittime sono emarginati, barboni, ciechi, persone infelici e rassegnate come certi personaggi di Beckett. L’assassino sembra non avere un vero movente se non il gusto di guardare negli occhi la morte. Il commissario Flavio Bertone capisce che si tratta di qualcuno molto vicino a lui, così vicino da sentirne il respiro. Al cuore di Beckett è il quarto romanzo della serie del commissario Bertone, dopo L’invidia di Velázquez (Sironi 2008), Il cameriere di Borges (Perdisa Pop 2012), Le lacrime di Borromini (Mincione Edizioni 2015).

San Francesco a Central Park

Che relazione c’è tra un vecchio che si suicida gettandosi dal terrazzo di un condominio e un frate che esce di mattina dal suo convento e scompare nel nulla? Apparentemente, nessuna. I due non si conoscevano e molto diverse erano state le loro vite. Per risolvere il duplice mistero, il commissario Flavio Bertone volerà a New York e poi in Connecticut. Incontrerà uomini della CIA e sedicenti agenti segreti messicani. Tornerà a Roma con un occhio pesto e pieno di sensi di colpa. Alla fine, scoprirà che c’è un nesso tra il vecchio suicida e il frate scomparso, anche se non è di questo mondo. La Verità si nasconde in un celebre quadro di Giovanni Bellini. Quinto romanzo della serie del commissario Flavio Bertone.

L’amico di Keats

Una sera di febbraio del 1821 muore a Roma, tra le braccia dell’amico Severn, il poeta John Keats. Sempre a Roma, una mattina di settembre del 2018, muore, travolto da un tram, un ragazzo di 17 anni che conosceva il segreto che Keats aveva svelato a Severn poco prima di morire.

Il commissario Bertone si lascia coinvolgere in una storia di forti passioni, di segreti inconfessabili, di poesie d’amore senza tempo e di spietati boss del narcotraffico che, grazie alla protezione di funzionari corrotti, scorrazzano indisturbati per tutta Europa.

Alcune note sull’autore dei romanzi.

Fabio Bussotti è nato a Trevi nel 1963. Attore e scrittore, si è diplomato alla Bottega Teatrale di Firenze. In teatro ha affiancato, tra gli altri, Giorgio Albertazzi, Adolfo Celi, Beppe Navello, Ermanno Olmi, Vittorio e Alessandro Gassman. Per il cinema ha lavorato con Federico Fellini (L’intervista, 1987), Liliana Cavani (Francesco, 1989) (premio Nastro D’argento come migliore attore non protagonista), Francesca Archibugi (Verso sera, 1990), Mario Monicelli (Come Quando Fuori Piove, 2000). Ha inoltre recitato in numerose fiction televisive. Egli stesso drammaturgo, è autore di numerosi testi portati in scena dal 1991 a oggi. Come romanziere ha esordito nel 2008 con L’invidia di Velázquez (Sironi).

Fabio Bussotti Via Santa Croce in Gerusalemme,67 00185 Roma 338 5692640

www.fabiobussotti.it           fabio.bussotti.fb@gmail.com               stefanogabrini@gmail.com

Spettacoli

Il Sosia

© all rights reserved 2015

di Fabio Bussotti

da Dostoevkij

adattamento per il teatro, due personaggi, un musicista


Villa Glori

© all rights reserved 2010

di Fabio Bussotti.

Testo teatrale dedicato ai fratelli Enrico e Giovanni Cairoli. Musiche di Stefano Caprioli.


IGNAZIO SILONE

USCITA di SICUREZZA

© all rights reserved 2009

Racconto popolare in quattro tempi con musica e immagini.

Adattamento dall’omonimo romanzo di Ignazio Silone e regia di Fabio Bussotti.

Musiche di Stefano Caprioli.

Ignazio Silone racconta la sua parabola umana: l’infanzia a Pescina, il terremoto del 1915, la povertà, la fame, il senso di giustizia maturato nel rapporto col padre, la dignità della sua gente, il Fucino, l’incontro con Don Orione, la scelta di entrare nel partito Comunista e la sua dolorosa ma inevitabile “Uscita”.

Lo spettacolo ripercorre le tappe principali dei primi trent’anni di vita del grande scrittore, trent’anni riproposti come un racconto popolare ricco di immagini, suoni, voci e melodie che evocano sentimenti e stati d’animo di appassionante attualità.

Soggetti

 

Lo strano caso di Robert Louis Stevenson

©  all rights reserved 2010

 soggetto di Fabio Bussotti per una serie televisiva

Sinossi.

Londra, 1886. Robert Louis Stevenson pubblica il suo capolavoro: “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde”. Il romanzo riscuote subito un notevole successo. Soprattutto in America dove lo scrittore si trasferisce per un breve periodo. Siamo a New York  nel gennaio del 1887. Stevenson conosce e frequenta un attore amabile e pieno di talento che risponde al nome di Richard Mansfield. Stevenson, a causa della salute cagionevole, ritorna in Inghilterra dove un ambizioso impresario teatrale, Sir Henry Irving, gli propone di scrivere l’adattamento teatrale dal suo romanzo. Dapprima, Stevenson si mostra indifferente, ma poi, anche di fronte a un cospicuo anticipo in denaro, accetta la sfida.

Il debutto è previsto al teatro Lyceum di Londra i primi di agosto del 1888. Il problema principale è trovare un attore in grado di interpretare l’impegnativo doppio ruolo. Vengono fatti molti provini ai quali assiste lo stesso Stevenson. Di attori bravi ve ne sono, ma nessuno sembra in grado di affrontare l’arduo compito. Stevenson si ricorda del suo bravo amico Richard Mansfield al quale spedisce una lettera convocandolo a Londra. Mansfield non si fa pregare. Corre al porto di New York,  prende la prima nave per l’Inghilterra,  sbarca a Londra e vince il provino: sarà lui a interpretare il dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Durante le prove in teatro, l’amicizia fra Stevenson e Mansfield diventa sempre più stretta. I due escono quasi tutte le sere. Frequentano il bel mondo londinese dividendosi fra circoli letterari, ricevimenti, cene e riunioni di intellettuali. La salute di Stevenson, grazie a un elisir che Mansfield si è procurato di nascosto presso un medico dalla dubbia reputazione, migliora a vista d’occhio. Finalmente, arriva il giorno del debutto. Stevenson è molto emozionato. E anche Mansfield forse lo è, ma la bravura dell’attore ha qualcosa di catartico. Oltre ogni previsione, l’esito della “prima” è a dir poco trionfale. Mentre l’impresario gongola di felicità e le casse del teatro traboccano di sterline, Stevenson e Mansfield si danno senza pudore alla bella vita notturna.  Il loro punto di ritrovo, dopo teatro, è diventato il circolo esoterico della Golden Dawn dove oltre ai soliti discorsi di letteratura, politica e filosofia non si disdegnano le belle donne, l’alcool e l’oppio.

La mattina del 31 agosto 1888, a Whitechapel, viene trovato il cadavere di una prostituta di 43 anni di nome Mary Ann Nichols. Pochi giorni dopo, l’8 settembre, un’altra prostituta di 48 anni, di nome Annie Chapman, viene trovata, anche lei come la Nichols, uccisa e squartata. Questa volta, l’assassino ha lasciato la firma. Sul muro di una chiesa, nella notte, qualcuno ha scritto in rosso Jack lo Squartatore (Jack the Ripper).

Scotland Yard indaga, ma non vi sono né elementi utili, né tanto meno indizi. In tutta Londra fioriscono sospetti e congetture. E, dopo l’uccisione della terza prostituta, Elisabeth Stride, l’ispettore di polizia John Mac Carthy è disperato. Tutti i sospettati vengono arrestati e presto rilasciati: tutti sembrano avere un alibi. Il serial killer appare ai più una figura diabolica, per niente umana. Taglia la gola alle donne, le seziona con perizia chirurgica, asporta frammenti dai corpi e poi si dissolve nei vicoli scuri e nebbiosi vicino alle sponde del Tamigi.

Nei circoli londinesi non si parla d’altro. Tra le tante congetture, comincia a prendere corpo la curiosa  tesi secondo la quale l’assassino potrebbe avere una personalità scissa: un’insospettabile brava persona di giorno e un efferato assassino di notte. Jack lo Squartatore, insomma, potrebbe essere un personaggio dalla doppia vita, un po’ come Jekyll e Hyde. L’ispettore Mac Carthy, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, si reca da Stevenson per elemosinare un parere sulla natura del criminale.

Lo scrittore non ha tanta voglia di collaborare. Gli sembra una cosa poco seria: il suo Jekyll-Hyde è un’invenzione letteraria e teatrale, e quindi, secondo lui, nella vita reale non possono esistere personaggi così estremi. Al contrario, il suo amico Mansfield, non è per niente scettico. È persuaso che un’indagine di Stevenson sia la ricetta migliore per avere un identikit “psicologico” di Jack lo Squartatore.

Spinto dalla passione del suo amico, Stevenson si mette lentamente all’opera. Dal principio, utilizza  gli indizi forniti dalla polizia. Ma non venendo a capo di nulla, lo scrittore cambia improvvisamente marcia e comincia a fare di testa sua: ordina una perizia calligrafica sui messaggi dell’assassino, ricostruisce a modo suo, con scientifica maniacalità la meccanica dei delitti. Studia nei dettagli la vita e le abitudini delle vittime fino a immaginare l’esistenza, le origini, l’infanzia, le possibili malattie e le ossessioni del killer. Purtroppo, però, nonostante l’intenso impegno e, soprattutto, l’originalità dei suoi metodi, più cerca di avvicinarsi alla realtà dei fatti e più i fatti sembrano una bizzarra invenzione letteraria. Più analizza e seziona nei minimi dettagli il caso e più tutto sembra paradossale. Quando ormai anche Stevenson è pronto alla resa, la polizia rinviene la quarta vittima di Jack: è  Catherine Eddows, ancora una prostituta, ancora  a Whitechapel.

Mansfield esorta Stevenson a non mollare. Secondo l’attore, un assassino che continua a lasciare lettere dopo ogni delitto, sotto sotto, nel profondo dell’anima, cova il desiderio di farsi prendere. Bisogna solo scoprire il  punto debole. Ma qual è il punto debole di Jack?

Una notte, dopo aver trascorso ore in compagnia degli amici della Golden Dawn, Stevenson accompagna a casa il suo amico.  Davanti a un bicchiere di Scotch, i due parlano in attesa dell’alba. Mansfield si addormenta sulla poltrona, mentre Stevenson va nello studio dove sa che di poter trovare un’altra bottiglia di liquore. Apre un cassetto e invece del liquore, trova dei fogli scritti con inchiostro rosso. Lo stile, la calligrafia e persino la carta sono gli stessi dei messaggi di Jack lo Squartatore. Stevenson ha quasi un mancamento. Si fa forza. Barcollando, come se sentisse di colpo il peso della sbornia, s’infila il cappotto, si mette in tasca un paio di fogli e poi se ne torna a casa sua.

L’indomani, Stevenson insieme all’ispettore Mac Carthy confronta i fogli trovati nel cassetto di Mansfield con gli originali di Jack lo Squartatore. Non ci sono dubbi: sono stati scritti dalla stessa persona. Stevenson si rifiuta di dire a Mac Carthy dove ha preso quei fogli, attirando su di sé i sospetti dell’ispettore.  Lo scrittore corre a teatro dove sa che troverà l’attore in scena per l’ennesima replica dello strano caso del dottor Jekylln e Mr. Hyde. Ma Mansfield non si è presentato. L’impresario è fuori di sé dalla rabbia. Non sa come placare le ire del pubblico che attende una rappresentazione che non ci sarà. Dov’è finito Richard Mansfield? Stevenson vola a casa sua, e non solo non lo trova, ma scopre che l’intera casa è deserta, come abbandonata da mesi. Non ci sono più i libri e gli effetti personali dell’attore. C’è solo un biglietto sulla scrivania con l’indirizzo di un vicolo di Whitechapel. Stevenson si precipita là, nel quartiere malfamato di Londra, teatro  di tutti gli omicidi. È la notte dell’ 8 novembre 1888. Nel vicolo freddo, solitario e nebbioso c’è una carrozza abbandonata. Stevenson si avvicina alla vettura. Apre lo sportello. Gli appare il volto terreo e penzolante di una donna (Mary Jane Kelly), la gola aperta da orecchio a orecchio. Sul grembo dell’ultima vittima di Jack c’è un biglietto con scritto: “Addio, Robert”. Un rumore di passi scuote Stevenson. Dall’imboccatura del vicolo, un drappello di poliziotti, avvertiti da chissà chi, corre verso di lui. Stevenson, si mette il biglietto in tasca e fugge nella direzione opposta. Nella notte dell’ultimo delitto di Jack, dopo una fuga rocambolesca, Stevenson riuscirà a tornare a casa. Ma le sorprese non sono finite. In bella mostra, Richard Mansfield, alias Jack lo Squartatore, ha lasciato in casa dello scrittore tutte le prove dei suoi delitti: un bisturi insanguinato, gli effetti personali delle prostitute, reperti anatomici vari, i fogli e l’inchiostro usati dal serial killer per scrivere i messaggi. Sicuro dell’imminente arrivo dell’ispettore, Stevenson  in pochi istanti getta in un sacco le prove schiaccianti, esce dalla porta sul retro e con fare sinistro a mo’di Mr. Hyde,  corre a gettare il sacco nel Tamigi. Quando l’ispettore Mac Carthy, alle sei del mattino, andrà a bussare alla sua porta, lo scrittore  darà ancora il meglio di sé nelle vesti di attore recitando il ruolo di un nobile gentiluomo londinese inopinatamente gettato giù dal letto dalla polizia. “Signor Stevenson, dove ha preso quei fogli con la calligrafia di Jack lo Squartatore?”. “A casa di Richard Mansfield !”. “E dov’è adesso il signor Mansfield?”. “Non lo so!”. Ed era vero: Stevenson non sapeva proprio che fine avesse fatto il suo ex amico. Probabilmente, l’attore aveva cambiato identità e si era imbarcato con falso nome su una nave diretta in America. Una cosa era sicura: quell’attore americano, così abile a sdoppiarsi nei ruoli di Jekyll e Hyde, si sdoppiava anche nella vita: di giorno era un caro e sincero amico, di notte si trasformava in un efferato serial killer. Era stato Stevenson col suo romanzo a creare quel mostro, oppure era stato Mansfield a trovare nel romanzo di Stevenson la giustificazione alle sue turbe omicide? Domanda senza risposta. Quel che è sicuro è che Stevenson non rivide più Mansfield e che Jack lo Squartatore non fu mai né identificato, né catturato.

 

Epilogo.

È il 1896. Nel suo studio all’isola di Samoa, Stevenson sta scrivendo il suo ultimo romanzo. Sono passati 8 anni da quel terribile novembre di sangue e la salute di Stevenson, senza l’elisir che gli procurava Browning, è andata gradualmente peggiorando.

Una voce lo chiama da fuori. Stevenson si affaccia alla finestra e vede che giù in cortile c’è un signore distinto dal sorriso aperto. Il giovane parla con accento americano, dice infatti di venire da Baltimora e di chiamarsi Terry Lexter. Ha una faccia familiare. Stevenson ha un sussulto quando si accorge che quel tale somiglia in modo incredibile a Richard Mansfield, ma con venti anni di meno. “Sono un suo ammiratore, signor Stevenson. Ho letto e riletto tutti i suoi libri. Ho saputo della sua salute cagionevole e sono venuto a portarle una medicina speciale che la farà stare proprio bene. Anzi, dopo che l’avrà bevuta, si sentirà un altro”.